UNIVERSITA' CATTOLICA DEL SACRO CUORE DI MILANO - Facoltà di Giurisprudenza - Corso di Laurea in Giurisprudenza

LA TUTELA PENALE DELLA LIBERTA' RELIGIOSA - Tesi di Laurea di LORENZO GRASSANO Matr. 2901015

Capitolo II. La tutela penale del sentimento religioso.

Dottrina, giurisprudenza della Corte Costituzionale, intese stipulate con le altre confessioni religiose e proposte di modifica.

 

II. I. IL PROBLEMA DELLA COSTITUZIONALITA’ DEL CODICE ROCCO E LE PROPOSTE DELLA DOTTRINA.

 

Con la caduta del fascismo e l’instaurazione di una forma di governo repubblicana, a cui ha fatto seguito l’entrata in vigore della Costituzione, si è passati da << un ordinamento giuridico, imperniato su una preminenza dell’ente Stato limitativo della sfera individuale dei cittadini e potenziatore, sino all’esasperazione, dei valori nazionali >> [1], ad uno Stato che può ben definirsi << di diritto >>.

In materia di religione e rapporti con lo Stato, la Costituzione presenta una sorta di contraddizione in quanto, se da un lato esalti principi di uguaglianza e libertà, dall’altro consolida quel regime concordatario << che privilegia una determinata confessione religiosa e discrimina appartenenze minoritarie e scelte non religiose del cittadino >> [2], sebbene la dottrina rilevi come l’ultima parte del comma secondo dell’art. 7 Cost. si possa configurare come un’apertura per << una evoluzione normativa, espressamente programmata dallo stesso legislatore, che consenta di eliminare le contraddizioni evidenziate >> [3].

Le opposte spinte ideologiche presenti all’interno dell’Assemblea costituente comportano che al privilegiato rapporto fra Stato e Chiesa cattolica ex. art. 7 Cost. si oppone il successivo art. 8 Cost. che, dopo aver riconosciuto tutte le confessioni ugualmente libere davanti allo Stato, attribuisce ai culti diversi da quello cattolico il diritto di organizzarsi secondo propri statuti, in quanto non contrastanti con l’ordinamento giuridico.

L’emanazione della Costituzione pone alla dottrina il problema di armonizzare i principi in essa contenuti con la normativa anteriore, questione avvertita con maggior intensità proprio nell’ambito penale in quanto << la legge penale, come quella che più drasticamente incide nell’esercizio delle libertà e circoscrive i limiti dei diritti dei cittadini, è naturalmente la più soggetta a subire i contraccolpi dei mutamenti costituzionali >> [4].

Uno dei primi problemi che viene preso in considerazione è il significato da attribuire al rinvio operato ex. art. 7 Cost. ai Patti Lateranensi [5] e, in relazione alla materia de qua, al rinvio contenuto nell’art. 1 del Trattato all’art. 1 dello Statuto albertino, per il quale << la Religione Cattolica, Apostolica e Romana è la sola Religione dello Stato >>.

La dottrina ritiene che sia la stessa Costituzione, mediante il riconoscimento individuale dell’uguaglianza e della libertà religiosa, e dell’uguale libertà davanti alla legge di tutte le confessioni religiose, compresa quella cattolica, ad escludere formalmente la vigenza di uno Stato italiano << confessionale >>.

Il fatto che la predetta esclusione sia stata operata solo a livello << formale >>, dimostrazione della poca volontà da parte del costituente di affrontare subito la questione dei rapporti fra Stato e Chiesa, è stato riconosciuto da parte della dottrina [6] come un elemento decisivo per l’instaurazione di un sistema confessionista di fatto, in contrasto con i principi di uguaglianza e libertà costituzionale, dei quali viene negata l’attuazione.

Di opinione contraria P. A. D’Avack, per il quale aver costituzionalizzato, attraverso l’art. 7 Cost., tutte le norme di derivazione pattizzia ha di fatto limitato il riconoscimento dei principi di libertà e uguaglianza previsti dalla Costituzione, che non potrebbero mai porsi in contrasto con le singole clausole dei Patti lateranensi, << e solo nell’ambito e nei confini da queste consentiti possono assumere e conservare valore ed efficacia concreta nell’ordinamento italiano >> [7].

Piola [8] afferma che la dicitura << Religione dello Stato >> non significa né il riconoscimento di un profilo teocratico dello Stato, e neppure quello di uno Stato confessionista in grado di professare una propria religione riconosciuta come unica e vera. Il richiamo all’art. 1 dello Statuto avrebbe il solo ruolo di riconoscere << un fatto storico e un dato statistico >>: il popolo italiano, per sua tradizione continua ad essere cattolico per la quasi totalità, con la conseguenza che le cerimonie religiose dovrebbero svolgersi con rito cattolico.

Per Jemolo [9] il sistema di rinvii che dall’art. 7 Cost. conduce all’art. 1 Statuto non può determinare la vigenza del principio della << religione cattolica quale religione dello Stato >>, non solo per il fatto che il testo costituzionale è << un testo completo, non integrabile con il richiamo di altri testi >>, ma anche perché gli artt. 8 e 19 Cost., << pur avendo la loro efficacia compressa dagli Accordi Lateranensi, mostrano tuttavia uno spirito informale che non ha niente a che vedere con quello dell’art. 1 dello Statuto >> [10].

Una volta accertato che non esiste più una religione dello Stato, parte delle dottrina ritiene che ciò sia sufficiente abrogare le norme ex. art. 402 c.p. e seguenti, mentre altri autori credono che sia più opportuno fondare l’incostituzionalità della normativa considerata sulla base dei principi costituzionali di uguaglianza, di libertà di coscienza e di manifestazione del pensiero: in tal modo si ritiene di poter contrastare le tesi dottrinali che ritengono il riferimento alla religione dello Stato come << religione della maggioranza >>.

In dottrina, [11] si è fatto notare come molte incertezze interpretative della materia de qua, nonché la stessa inerzia legislativa del Parlamento, avrebbero potute essere impedite dall’inserimento nella Costituzione di una << clausola di abrogazione cumulativa espressa >>, sulla falsariga di quanto previsto dallo Statuto albertino del 1848 all’art. 81 ( in forza del quale ogni clausola contraria allo Statuto era da considerarsi abrogata ). In sede costituente si ritenne inutile inserire una tale clausola, in quanto << nulla avrebbe potuto togliere od aggiungere alla capacità di abrogazione tacita che caratterizza ogni legge e che a maggior ragione è insita in un testo costituzionale >> [12].

 

La revisione del Concordato lateranense attraverso l’Accordo di Villa Madama, siglato il 18 febbraio 1984 ed eseguito con la legge 25 marzo 1985, n. 121 ebbe una notevole conseguenza in relazione alla tutela penale del fenomeno religioso, nella parte in cui, al punto 1 dell’annesso Protocollo addizionale, si afferma non essere << più in vigore il principio, originariamente richiamato dai Patti lateranensi, della religione cattolica come sola religione dello Stato italiano >>.

La presente formula si presta ad una particolare interpretazione, mai presa seriamente in considerazione dalla dottrina; infatti, dalla lettura dell’art. 1 Prot. addiz. si potrebbe essere indotti a credere che << non essendo più la religione cattolica la sola religione dello Stato, evidentemente ce ne devono essere evidentemente delle altre di religioni dello Stato >> [13], e che il nostro ordinamento abbia raggiunto un effettivo pluralismo religioso avendo in questo modo non una, ma più religioni dello Stato.

Solo qualche autore [14] si dimostra più prudente nell’escludere possibili interpretazioni in grado di mantenere ancora in vigore il principio della religione di Stato, sebbene allargato a religioni diverse dalla cattolica: il modo con cui è formulato l’art 1 Prot. addiz. può suggerire il fatto che la denominazione << religione dello Stato >> possa essere riferita anche a culti diversi dalla religione cattolica, per i più diversi fini, anche penalistici.

La dottrina ritiene che tale norma non dovrebbe avere una incidenza particolare sulla materia considerata in quanto, come già affermato, l’esclusione a livello formale di un principio confessionista era stato escluso già dall’entrata in vigore della Costituzione.

Il fatto che si riconosca la piena libertà religiosa e la manifestazione di pensiero di tutti i cittadini, nonché l’uguale libertà di tutte le confessioni religiose, determina la creazione di un ordinamento in cui ad ogni culto è preclusa la possibilità di essere riconosciuto come religione di Stato.

La fine del principio confessionista ha radici sociali più che giuridiche se, come afferma Jemolo, << dopo le leggi sul divorzio e sull’aborto, nessuno parlerebbe più dell’Italia come di uno Stato confessionale >> [15]; inoltre, il legislatore stesso non ha mai fatto riferimento alla << religione di Stato >> dopo l’avvento della Costituzione, la quale non considera tra le proprie norme un simile principio.

Il Punto 1 del Protocollo addizionale, quindi, svolgerebbe la funzione di adeguare la normativa concordataria del 1929 al principio costituzionale della laicità dello Stato [16].

Uno dei motivi per cui, a fronte di questa impostazione comune della dottrina, il sistema penale dei culti sia rimasto in vigore nella sua originaria disciplina per molti decenni è solo frutto dell’atteggiamento della Corte costituzionale di tenere ben separata la questione dell’esistenza o meno di una religione di Stato, da quella relativa alla legittimità di una protezione diversa, sia  qualitativamente che quantitativamente, da concedere alla religione cattolica; la Consulta, quando ha dovuto rigettare le eccezioni di incostituzionalità prospettate nei confronti degli art. 402-406 c.p. e 724 c.p., non l’ha mai fatto perché considerava ancora vigente il principio della religione cattolica quale religione di Stato, ma per mezzo di altre argomentazioni, quali per esempio il fatto che fosse la stessa Costituzione a giustificare un trattamento differenziato [17], oppure sottolineando l’importanza sociologica del culto cattolico per il popolo italiano [18].

La dottrina ritiene il punto 1 del Protocollo addizionale come un semplice << adeguamento tardivo della lettera della legge ad un principio di eguaglianza dei culti rispetto all’ordinamento giuridico direttamente deducibile dalla Costituzione >> [19].

Queste conclusioni sembrano trovare una conferma anche dalla prime bozza di revisione del Concordato, la c.d. bozza Gonella-Casaroli del 1976, in cui all’art. 1 si afferma che << la Santa Sede prende atto che l’art. 1 dello Statuto del 4 marzo 1848, richiamato nei Patti lateranensi, è stato abrogato con l’adozione della Costituzione della Repubblica italiana >>.

I contenuto dei diversi progetti di riforma che si alternano nel corso degli anni dimostrano come l’esistenza di uno Stato aconfessionale e laico, nei termini sanciti dalla Costituzione, si presenta nei vari progetti di riforma come l’elemento stessi su cui si fondano le relazioni tra Stato e Chiesa, ed è  considerato come base direttiva nei cui confronti la norma pattizia opera una sorta di << adeguamento tecnico >>; << un’enunciazione pattizia, nella materia in esame, non potrebbe avere altro significato che meramente ricognitivo, e non proprio “costitutivo”, poiché la qualificazione di uno Stato, attiene ad un carattere essenziale inerente alla stessa concezione, ovvero alla “struttura” dell’ordinamento giuridico, come tale derivante da una scelta o decisione costituente, e quindi inerente al diritto interno, ed estraneo alle materie peculiari di concordati ed intese bilaterali >> [20].

Inoltre, non bisogna dimenticare come la rubrica del capo I, titolo IV del libro II del codice penale valuti la religione dello Stato ed i c.d. culti ammessi come entità allineate.

Non esiste più un confessionalismo di Stato, ma solo religioni diverse dalla cattolica, e non esistono più culti ammessi, se con tale denominazione s’intendono quei culti rappresentativi di una realtà discriminata, proprio in forza dell’art. 8 Cost.

 

Lo scarso numero di pronunce del giudice ordinario in materia di tutela penale del fenomeno religioso, nonché la difficoltà di far conciliare le relative norme ai dettati costituzionali, determina che nei primi anni novanta sono davvero pochi gli interventi della dottrina nella materia de qua.

Sebbene si giudichi in modo negativo la presenza degli artt. 402-406 c.p. e 724 c.p.,le soluzioni prospettate sono diverse; infatti, una volta dichiarato che i profili normativi che maggiormente si pongono in contrasto con la Costituzione sono gli articoli che attuano una tutela esclusiva della religione cattolica e quelli che prevedono una disparità di trattamento fra la religione cattolica e gli altri culti, parte della dottrina ritiene impossibile negare il fatto che << alcune di queste norme, oltre a proteggere con la sanzione penale il sentimento religioso, attuano una garanzia più completa della libertà religiosa >> [21], in quanto << puniscono una serie di atti che possono mortificare impedire o turbare l’esercizio delle facoltà promananti dal diritto di libertà religiosa >> [22], da cui l’opportunità di non abrogare le norme considerate.

Di opinione opposta è chi sottolinea quanto possa risultare difficile la tutela di un valore tanto << ideale e astratto >> quanto può essere il << sentimento religioso >>, soprattutto in una società sempre più secolarizzata nei costumi come quella italiana. Una totale eliminazione di ogni norma che prevede una tutela penale del sentimento religioso sarebbe opportuna anche perché molti comportamenti, oggi puniti sotto il titolo dei delitti contro la religione dello Stato e i culti ammessi, potrebbero essere benissimo sussunti sotto altre previsioni di reato, quali per esempio l’ingiuria, la diffamazione, il turpiloquio o i delitti di danneggiamento [23].

Uno Stato veramente laico non dovrebbe rapportarsi al problema della tutela del sentimento religioso emanando norme penali, bensì limitarsi a ridurre << il fenomeno religioso nell’alveo del diritto comune >> [24].

Di diverso avviso invece chi ritiene come la soppressione di ogni tutela penale del sentimento religioso non sarebbe tanto una conseguenza del principio di laicità, quanto << uno strumento di forzata secolarizzazione della coscienza sociale, discriminando i credenti nella loro pari dignità sociale >> [25].

La soluzione del problema non può risiedere nella semplice previsione della eliminazione di norme che sembrano porsi in contrasto con il principio di laicità dello Stato, ma occorre ricordare che << la tutela integrale della personalità umana nella totalità delle sue potenzialità espressive … necessita anche di una garanzia di una protezione della libertà religiosa >> [26]; a tal fine i reati disciplinati ex. art. 402-406 c.p. potrebbero essere inseriti tra i delitti contro la persona, prevedendo una sanzione simbolica e la querela di parte [27].

Un’altra impostazione [28], riconoscendo il carattere multireligioso e plurietnico della società italiana, sorto a causa della rilevante immigrazione proveniente dai Paesi in via di sviluppo, indica come possibile soluzione quella che traspare dall’art. 3 della legge n. 654 del 1975, nella riformulazione introdotta dall’art. 1 del d.l. 26 aprile 1993, n. 122 ( convertito con modificazioni nella legge n. 205 del 1993, << Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa >> ), nella parte in cui punisce chi incita a commettere o commette atti di discriminazione ( art. 3, comma primo, lett. a ), violenza o atti di provocazione alla violenza ( art. 3, comma primo, lett. b ) per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi; inoltre, il successivo capoverso vieta, sulla base della stessa motivazione, ogni organizzazione, associazione movimento o gruppo che abbia tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza, punendo altresì chi promuova, diriga, partecipi o presti assistenza a tali organismi.

La dottrina riconosce che attraverso questa norma, per la prima volta, << l’uguaglianza senza distinzione di religione è assurta al rango di bene giuridico protetto, determinando così la più significativa evoluzione delle norme penali in materia ecclesiastica dopo l’entrata in vigore della Costituzione >> [29].



[1] A. Consoli, Il reato di vilipendio della religione cattolica, Milano, Giuffrè, 1957, pag. 163.

[2] F. Margiotta Broglio, Stato e confessioni religiose. II Teorie e ideologie, Firenze, La Nuova Italia, 1978, pagg. 194 e ss.

[3] Ibidem.

[4] P. Nuvolone, Norme penali e principi costituzionali, in Giur, cost., 1956, pag. 1253.

[5] Per quanto riguarda il problema della costituzionalizzazione degli stessi Patti Lateranensi la miglior dottrina conclude nel senso della loro esclusione, vedi per esempio, V. Crisafulli, Art. 7 della Costituzione e vilipendio della religione dello Stato, in Arch. pen., 1950, II, pag. 422.

[6] Per esempio, S. Lariccia, l’attuazione dei principi costituzionali in materia religiosa, in Dir. eccles., 1981, I, pag. 3.

[7] P. A. D’Avack, I rapporti tra Stato e Chiesa, in Commentario sistematico alla Costituzione italiana, vol. I, Firenze, Barbera, 1950, pag. 111 e ss.

[8] A. Piola, Variazioni sul tema della religione dello Stato e del vilipendio della medesima ( anche in vista della revisione del Concordato ), in Dir. eccles., 1968, I, pag. 233.

In sento contrario Crisafulli, Art. 7 della Costituzione e vilipendio della religione dello Stato, in Arch. pen., 1950, II, pag. 419, per il quale non vi sono disposizioni della Costituzione dalle quali si possa desumere << una posizione di ufficialità >> della religione cattolica o << una qualsiasi situazione legale di preminenza di essa nei confronti di qualunque altra >>.

[9] A. C. Jemolo, Religione dello Stato ed articoli 402-404 Cod. pen., in Giust. pen., 1950, II, pagg. 199 e ss.

[10] Ibidem.

[11] S. Lariccia, Teoria e prassi della libertà di religione, Bologna, Il Mulino, 1975, pagg. 414.

[12] Ibidem.

[13] M. Condorelli, “Scherz und Ernst” sul nuovo Concordato, in Dir. eccl., 1984, I, pag. 364.

[14] M. D’Ambrosio, La religione cattolica ancora religione dello Stato, in Cass. pen., 1989, I, pag. 1161.

[15] A. C. Jemolo, Lezioni di diritto ecclesiastico, Milano, Giuffrè, 1979, pag. 92.

[16] In tal senso, P. Spirito, “Sentimento religioso” e “religione nel codice penale vigente”, in Studi in onore di Lorenzo Spinelli, III, Modena, Mucchi, 1989, pag 1091. 

[17] Cfr. Cort. cost., sent. 30 novembre 1957, in Foro it., 1957, I, pag. 1913.

[18] Cfr. Cort. cost., sent. 30 dicembre 1958, in Dir. eccles., 1959, II, pag. 81.

[19] F. Stella, Il nuovo Concordato fra l’Italia e la Santa Sede: riflessi di diritto penale, in Jus, 1989, pag. 104.

[20] P.G. Grasso, Laicismo di Stato e punizione del reato di bestemmia, in Giur. cost., I, pag. 4304.

[21] F. Finocchiaro, Diritto ecclesiastico, Bologna, Zanichelli, 1986, pag.160.

[22] Ibidem.

[23] Di tale opinione, S. Lariccia, Coscienza e libertà. Profili costituzionali del diritto ecclesiastico italiani, Bologna, Il Mulino, 1989, pag. 95.

[24] F. Rimoli, Tutela del sentimento religioso, principio di uguaglianza e laicità dello Stato, in Giur. cost., 1997, pag. 3347.

[25] P. Cavana, Sentimento religioso ( tutela penale del ), in Enc. giur., vol. XXVIII, 1992, Roma, Istituto della enciclopedia italiana, agg. 2003, pagg. 1 e ss.

[26] A. Romano, In riferimento alla tutela penale del sentimento religioso in una società pluralista, in Dir. e soc., 2002, pag. 446.

[27] In tal senso, F. Stella, Il nuovo Concordato fra l’Italia e la Santa Sede: riflessi di diritto penale, in Jus, 1989, pag. pag. 98.

[28] R. Botta, Manuale di diritto ecclesiastico. Valori religiosi e società civile, Torino, Giappichelli, 1994, pagg. 263 e 264.

[29] G. Casuscelli, Uguaglianza e fattore religioso, in Dig. disc. pub., vol. XV, Torino, Utet, 1999, pag. 445.

 

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